lunedì 6 giugno 2011

L'allegoria della guerra

Pablo si è fatto un’idea della guerra. L’ha vissuta, analizzata e poi metabolizzata con gli anni. Mi dice sempre che l’uomo ha bisogno ad un certo punto di distruggere, altrimenti non avrebbe nulla da ricostruire; oltre ad essere indispensabili per l’economia di un paese, esse hanno sempre apportato cambiamenti più o meno radicali alla società, trasformandola in meglio, quando si stava scivolando verso il peggiore dei mondi possibili. Vista da questo punto di vista, sembrerebbe quasi una cosa positiva. In effetti potrebbe esserlo, se non fosse che provoca morte e distruzione. E’ un discorso certo da prendere con le pinze: la guerra resta l’atto più meschino che l’uomo abbia mai potuto inventare. Nonostante questo, nessuna civiltà, nessun popolo, nessun individuo è capace a evitarla. Negli anni di pace, si covano tutti i sentimenti che esploderanno in guerra. E’ un atto masochistico, ma necessario.
Ora la questione è questa, e Pablo ed io conveniamo nel medesimo ragionamento: più i decenni passano, più le tecnologie si perfezionano, meno senso ha fare la guerra! Quando si combatteva corpo a corpo, da uomini veri e non erano gli aeri che vigliaccamente lanciano bombe sui civili, ci si poteva ritrovare in essa finanche un qualcosa di leale. I maschi adulti, si scontravano con le spade e, da così vicino, si poteva davvero sentire l’odore del nemico. Ma come dicevamo, la guerra, o per meglio dire, il modo in cui essa si manifesta, dipende dalla tecnica. Tradotto significa che più la tecnica è raffinata e più persone si possono ammazzare con il minore sforzo. Non c’è nulla di faticoso nel lanciare una bomba atomica, credo. In effetti la tecnologia ci permette proprio questo: allontanarci dalla fatica. Abbiamo così, almeno potenzialmente, anche allontanato il rischio di recarci sul campo di battaglia.  Tutti siamo consapevoli che un conflitto atomico rischierebbe di ridurre tutto e tutti in poltiglie in pochissimo tempo. Basta premere un pulsante; Basta un click! E, nell’epoca in cui le distanze sembrano, sempre grazie alla tecnica, azzerate,  anche la guerra non si sottrae a questa logica e si manifesta (si manifesterebbe) in un solo instante ma con la potenza di tutte le guerre mai fatte dall’uomo.
Ma esiste una soluzione rivoluzionaria: trasmigrare tutti i valori di una vera guerra, in una guerra finta. Una sorta di allegoria della guerra. Ho cercato di spiegarla a Pablo, ma lui davvero non riesce a capire a cosa mi riferisco. Bisogna masticare un po’ di rete, essere al passo coi tempi. Lui non sa nemmeno cosa sia un computer. Se un conflitto si riducesse un giorno davvero solo nel pigiare tasti e guidare bombe telecomandate, sarebbe preferibile, anche in senso economico, organizzare una guerra digitale, con tanto di promessa o di giuramento: chi perde, paga.  Una specie di battaglia navale virtuale, che arrecherebbe pochissime spese alle nazioni e occuperebbe il tempo in modo alternativo ai presidenti. Sarebbe addirittura non remoto pensare a un’intera nazione dove ogni singola persona ha la possibilità di partecipare alle ostilità direttamente da casa sua, con tanto di pausa pranzo e senza alcun rischio di perdere la vita o di veder morire i propri cari. Perché noi la guerra ce l’abbiamo dentro, ci è indispensabile, come il pane, e in questo modo, almeno virtualmente, torneremo a combattere corpo a corpo, come un tempo, da veri uomini.

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