martedì 28 luglio 2015

Due ragazzetti in macchina

Qualche giorno fa vado a fare un giro al parchetto a mezzanotte. Parcheggio la mia macchina accanto a una station wagon. Dentro ci sono un ragazzo e una ragazza, più meno di vent’anni, che parlano: lui, al lato guida, è appoggiato con la testa al finestrino chiuso per metà; ha un braccio sul volante e l’altro sullo schienale del sediolino; le gambe sono rivolte verso di lei che è seduta al lato passeggero e si dimena muovendo le braccia e toccandosi con una frequenza impressionante i capelli biondi.
Lei gli sta parlando di qualcosa d’importante; a un certo punto pronuncia una frase tipo “probabilmente sto sbagliando”, riesco ad ascoltare solo questo, nient’altro. In ogni caso stanno discutendo, accesamente, ma da innamorati; si capisce che quella discussione non mette in nessun modo in pericolo il loro rapporto. Mi piace un sacco quando le coppie litigano e discutono in questo modo; è una cosa che solo a guardarla mi dà sicurezza: è già una “promessa” è già un “per sempre”.

Non so bene qual è l’argomento che li fa perdere tempo con le parole invece, che ne so,
magari di passare quelle ore che hanno a disposizione per baciarsi. C’è sempre qualcosa che ruba il tempo ai baci, alle carezze, all’amore; a qualsiasi età.
Io resto fermo nella mia macchina e li guardo perché hanno un’aria familiare. E’ come se li conoscessi da sempre.
Lei è sicuramente più presa da quello che stanno vivendo: ho l’impressione che lotti di più, che si batta con più determinazione. Lui invece guarda spesso dritto in avanti anziché
fissarla negli occhi, si distrae e alza meno la voce. Riconosco ancora qualche sillaba che esce dalle loro bocche e che somiglia a qualche parola: “cambiare…ere…avevano…io…selo”. Ma, ovviamente, questi suoni, estrapolati così, non mi portano a nulla di concreto. Non capisco niente di quello che si stanno dicendo e la mia curiosità si accende ancora di più quando invano tento di mettere assieme pezzi di parole, frasi, lettere volanti e labiali. Cosa darei per farmi i fatti loro! Cosa darei per capire cosa si stanno dicendo! 

Continuo quindi a restare in macchina fingendo di giochicchiare con lo smartphone e di essere totalmente disinteressato ai loro argomenti mentre in realtà cerco di captare degli indizi. Perché questi due ragazzetti mi attirano? Perché hanno degli atteggiamenti che conosco così bene? Essendomi arreso al fatto di non sentire un cacchio, senza farmene accorgere, inizio a concentrarmi sui loro volti cercando di non fissarli quel tanto che basta
per mettergli paura. Lui, dalla mia postazione, lo vedo bene: è magro, molto figo, con poca barba e si sta per accendere una sigaretta. Di lei non riesco bene a descrivere nulla perché mi è di spalle. Noto però che gesticola parecchio e sento il suo tono di voce alzarsi di tanto in tanto ed entrare fin dentro la mia macchina, passando dal finestrino che tengo aperto per il caldo. Avere un tono di voce alto e gesticolare molto è una cosa che si dovrebbe sempre evitare di fare quando si ragiona con gli altri perché, anche se tutto quell’insieme di gesti e di parole urlate sono spesso solamente sintomi di un’insicurezza generata chissà da quali eventi passati, si dimostra aggressività e, l’aggressività, solitamente, distrugge più che costruire. Lei è agitata quindi, lui è tranquillo. Per un attimo questa cosa mi fa pensare che sia lei ad amare di più fra i due. Ma subito rifletto: “che sciocchezza!”. Lui poi fa tre tiri dalla sigaretta che si è nel frattempo acceso e subito la passa a lei che, a sua volta, dopo essersi gustata i suoi tre tiri, gliela ripassa. Tre tiri per uno…e così fino a bruciarla. E’ sempre una pessima idea dividersi la sigaretta in questo modo perché poi si consuma e la devi buttare prima del tempo. Ma sono ragazzi e piano piano impareranno.

Dopo pochi minuti sono dovuto uscire dalla macchina per incontrare un amico: una birra, qualche sigaretta e la notte è veramente arrivata. Quando sono tornato a riprendere l’auto, dopo due ore, la station wagon con i due ragazzi non c’era più. Ma io so come sono andate le cose dopo che me ne sono andato:


hanno continuato a parlare per un po', poi una canzone alla radio li ha distratti e l’hanno cantata a squarciagola dimenticando ogni cosa. Hanno fumato un altro paio di sigarette rubate ai genitori che non sanno che fumano. Lui ha calmato lei e le ha detto che stare in macchina in sua compagnia è come possedere una casa da abitare assieme. Lei è stata d’accordo. Qualche secondo dopo, un bacio ha spento le parole di entrambi che poi hanno aspettato ansiosi che i vetri si appannassero per fare l’amore stesi sul sedile posteriore. Subito dopo fatto l’amore hanno aperto tutti i finestrini e spalancato tutte le porte della macchina “perché se si vede qualcosa è brutto” e la mamma di lei l’ha telefonata pregandola di tornare a casa “perché si è veramente fatto tardi”. Nel rispondere la ragazza è stata più dolce e delicata del solito per il semplice motivo che, si sa, dopo un orgasmo, si sta sempre meglio e si è più gentili con tutti, anche con i genitori. Questo la mamma nemmeno lo immagina ma, ascoltando la voce della figlia così incredibilmente dolce e rilassata, si è sentita anche lei per un attimo più serena e ha chiuso la telefonata ricambiando involontariamente, come per riflesso, un saluto pieno di comprensione. Poi una piccola tappa al bar. Ancora un po’ assieme. Un altro bacio e “ci vediamo domani”. Arrivato a casa, lui, posando il cellulare sul comodino, ha trovato un sms con su scritto “sono felice che in questo mondo così grande NOI due ci siamo incontrati, notte”. E lui le ha subito risposto “Sono molto felice anch’io”. (Che meraviglia a volte la banalità!). Entrambi poi si sono lavati e, lavandosi, non hanno potuto fare a meno di ripensare al sesso. Una volta stesi, ognuno nel proprio letto, e lontani qualche chilometro di distanza, assieme si sono uniti in un pensiero triste che affiora ogni qual volta riusciamo ad assaggiare per un istante la felicità: la vita è lunga e tante cose possono accadere, anche le più brutte. In quel momento un brivido di terrore ha spezzato loro la schiena ed entrambi hanno desiderato ancora un abbraccio prima di addormentarsi.

mercoledì 1 luglio 2015

Il professore di italiano

Nel ristorante dove sto pranzando vedo il mio professore di Italiano delle scuole superiori che si accinge ad aprire il menu. Erano anni che non lo incontravo, che nemmeno lo incrociavo per strada. Abitiamo vicino ma in dieci anni l’avrò visto sì e no due volte. Certe cose non accadono, anche se è facile che possano accadere.
Sono molto emozionato, non so perché. Mi fa piacere rivederlo, voglio dirgli: “guardi prof. come mi sono fatto!”.
Lui è molto cambiato, anche se non è invecchiato ancora. E’ semplicemente cresciuto un po’. Anche io sono cresciuto. E anche tutti i miei compagni di classe.
Mentre mangio non faccio altro che pensare al momento in cui, passando accanto al suo tavolo, mi fermerò e gli dirò chi sono. Sarà sicuramente felice di vedermi. Accelero, cerco di finire la pizza il prima possibile per alzarmi, andare a pagare e fingere con lui un incontro fortuito. Mi dà fastidio interromperlo mentre discute accesamente con sua moglie; spero che passando di lì ci saranno baci e abbracci naturali. Che bravo professore che era. Anzi, che è!
A un certo punto noto che rivolgendosi sempre alla moglie fa un gesto con le mani che sta a indicare di andarsene. Non riesco ad afferrare precisamente quale sia il motivo della loro decisione di abbandonare il ristorante, dato che si erano appena seduti. Credo che pacatamente abbiano comunicato al cameriere che avevano troppa fretta e si erano probabilmente resi conto che c’era da aspettare parecchio. Quindi mi alzo e lo rincorro. Lo chiamo: ”professore, salve!”, poi mentre gli porgo la mano gli dico: “si ricorda chi sono?”. Lui balbetta, mi dà la mano; fa finta di farfugliare un cognome incomprensibile. Allora glielo ricordo io: “sono Morabito”. E lui mi risponde sorridendo: “sì, Morabito! Come stai?”. Però io so che sta fingendo; non si ricorda un cazzo! Non sa chi sono. Ma mente con stile. Sto per un attimo al gioco e gli ricordo che sono passati almeno dodici anni. Subito dopo mi chiede conferma della scuola che ho frequentato: “ma eri all’istituto B**ti. Gli dico di sì sorridendo mentre un po’ lo sto odiando. Poi continua: “sai che sono diventato preside dell’istituto B**nti?”. Gli rispondo che è una notizia favolosa e che sono felicissimo di questa cosa. Intanto penso che non è giusto, che doveva ricordarsi di me. E un po’ ci soffro perché come al solito finisci di diventare uno dei tanti. E’ sempre così, l’individualità per praticità si piega sempre a una categoria; e la categoria è sempre algida e poco rappresentativa di quello che siamo veramente. Nel frattempo lui mette il cappotto e se ne va dicendomi “in bocca al lupo per le tue cose”. “Crepi” gli rispondo, sputandogli in faccia il mio sorriso divenuto in un attimo politico e convenzionale. Intanto continuo a pensare che oltre a essere un alunno di quella scuola io ero IO ma questo probabilmente era e rimane solo una mia illusione.
“Era meglio non salutarlo” dico fra me e me. Ho anche strafogato in pochi minuti la pizza per niente e mi sto sentendo male. Allora mi risiedo, ordino un amaro e cerco di digerire.

Il mio professore di italiano è scappato via in pochi secondi e, senza quasi che me ne accorgessi, è tornato ad essere per me quello che era stato nell’ultimo decennio: uno sconosciuto. E penso che alla fine va bene così: chi mi credo di essere?