mercoledì 1 luglio 2015

Il professore di italiano

Nel ristorante dove sto pranzando vedo il mio professore di Italiano delle scuole superiori che si accinge ad aprire il menu. Erano anni che non lo incontravo, che nemmeno lo incrociavo per strada. Abitiamo vicino ma in dieci anni l’avrò visto sì e no due volte. Certe cose non accadono, anche se è facile che possano accadere.
Sono molto emozionato, non so perché. Mi fa piacere rivederlo, voglio dirgli: “guardi prof. come mi sono fatto!”.
Lui è molto cambiato, anche se non è invecchiato ancora. E’ semplicemente cresciuto un po’. Anche io sono cresciuto. E anche tutti i miei compagni di classe.
Mentre mangio non faccio altro che pensare al momento in cui, passando accanto al suo tavolo, mi fermerò e gli dirò chi sono. Sarà sicuramente felice di vedermi. Accelero, cerco di finire la pizza il prima possibile per alzarmi, andare a pagare e fingere con lui un incontro fortuito. Mi dà fastidio interromperlo mentre discute accesamente con sua moglie; spero che passando di lì ci saranno baci e abbracci naturali. Che bravo professore che era. Anzi, che è!
A un certo punto noto che rivolgendosi sempre alla moglie fa un gesto con le mani che sta a indicare di andarsene. Non riesco ad afferrare precisamente quale sia il motivo della loro decisione di abbandonare il ristorante, dato che si erano appena seduti. Credo che pacatamente abbiano comunicato al cameriere che avevano troppa fretta e si erano probabilmente resi conto che c’era da aspettare parecchio. Quindi mi alzo e lo rincorro. Lo chiamo: ”professore, salve!”, poi mentre gli porgo la mano gli dico: “si ricorda chi sono?”. Lui balbetta, mi dà la mano; fa finta di farfugliare un cognome incomprensibile. Allora glielo ricordo io: “sono Morabito”. E lui mi risponde sorridendo: “sì, Morabito! Come stai?”. Però io so che sta fingendo; non si ricorda un cazzo! Non sa chi sono. Ma mente con stile. Sto per un attimo al gioco e gli ricordo che sono passati almeno dodici anni. Subito dopo mi chiede conferma della scuola che ho frequentato: “ma eri all’istituto B**ti. Gli dico di sì sorridendo mentre un po’ lo sto odiando. Poi continua: “sai che sono diventato preside dell’istituto B**nti?”. Gli rispondo che è una notizia favolosa e che sono felicissimo di questa cosa. Intanto penso che non è giusto, che doveva ricordarsi di me. E un po’ ci soffro perché come al solito finisci di diventare uno dei tanti. E’ sempre così, l’individualità per praticità si piega sempre a una categoria; e la categoria è sempre algida e poco rappresentativa di quello che siamo veramente. Nel frattempo lui mette il cappotto e se ne va dicendomi “in bocca al lupo per le tue cose”. “Crepi” gli rispondo, sputandogli in faccia il mio sorriso divenuto in un attimo politico e convenzionale. Intanto continuo a pensare che oltre a essere un alunno di quella scuola io ero IO ma questo probabilmente era e rimane solo una mia illusione.
“Era meglio non salutarlo” dico fra me e me. Ho anche strafogato in pochi minuti la pizza per niente e mi sto sentendo male. Allora mi risiedo, ordino un amaro e cerco di digerire.

Il mio professore di italiano è scappato via in pochi secondi e, senza quasi che me ne accorgessi, è tornato ad essere per me quello che era stato nell’ultimo decennio: uno sconosciuto. E penso che alla fine va bene così: chi mi credo di essere?

2 commenti:

  1. Questo è l'errore più grave che commettiamo: credere di essere speciali.
    Ma purtroppo nessuno è insostituibile...

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