Nel ristorante dove sto pranzando vedo il mio professore di
Italiano delle scuole superiori che si accinge ad aprire il menu. Erano anni
che non lo incontravo, che nemmeno lo incrociavo per strada. Abitiamo vicino ma
in dieci anni l’avrò visto sì e no due volte. Certe cose non accadono, anche se
è facile che possano accadere.
Sono molto emozionato, non so perché. Mi fa piacere
rivederlo, voglio dirgli: “guardi prof. come mi sono fatto!”.
Lui è molto cambiato, anche se non è invecchiato ancora. E’
semplicemente cresciuto un po’. Anche io sono cresciuto. E anche tutti i miei
compagni di classe.
Mentre mangio non faccio altro che pensare al momento in
cui, passando accanto al suo tavolo, mi fermerò e gli dirò chi sono. Sarà
sicuramente felice di vedermi. Accelero, cerco di finire la pizza il prima
possibile per alzarmi, andare a pagare e fingere con lui un incontro fortuito.
Mi dà fastidio interromperlo mentre discute accesamente con sua moglie; spero
che passando di lì ci saranno baci e abbracci naturali. Che bravo professore
che era. Anzi, che è!
A un certo punto noto che rivolgendosi sempre alla moglie fa
un gesto con le mani che sta a indicare di andarsene. Non riesco ad afferrare
precisamente quale sia il motivo della loro decisione di abbandonare il ristorante,
dato che si erano appena seduti. Credo che pacatamente abbiano comunicato al
cameriere che avevano troppa fretta e si erano probabilmente resi conto che
c’era da aspettare parecchio. Quindi mi alzo e lo rincorro. Lo chiamo:
”professore, salve!”, poi mentre gli porgo la mano gli dico: “si ricorda chi
sono?”. Lui balbetta, mi dà la mano; fa finta di farfugliare un cognome
incomprensibile. Allora glielo ricordo io: “sono Morabito”. E lui mi risponde
sorridendo: “sì, Morabito! Come stai?”. Però io so che sta fingendo; non si
ricorda un cazzo! Non sa chi sono. Ma mente con stile. Sto per un attimo al
gioco e gli ricordo che sono passati almeno dodici anni. Subito dopo mi chiede
conferma della scuola che ho frequentato: “ma eri all’istituto B**ti. Gli dico
di sì sorridendo mentre un po’ lo sto odiando. Poi continua: “sai che sono
diventato preside dell’istituto B**nti?”. Gli rispondo che è una notizia
favolosa e che sono felicissimo di questa cosa. Intanto penso che non è giusto,
che doveva ricordarsi di me. E un po’ ci soffro perché come al solito finisci
di diventare uno dei tanti. E’ sempre così, l’individualità per praticità si
piega sempre a una categoria; e la categoria è sempre algida e poco rappresentativa
di quello che siamo veramente. Nel frattempo lui mette il cappotto e se ne va
dicendomi “in bocca al lupo per le tue cose”. “Crepi” gli rispondo, sputandogli
in faccia il mio sorriso divenuto in un attimo politico e convenzionale. Intanto
continuo a pensare che oltre a essere un alunno di quella scuola io ero IO ma
questo probabilmente era e rimane solo una mia illusione.
“Era meglio non salutarlo” dico fra me e me. Ho anche
strafogato in pochi minuti la pizza per niente e mi sto sentendo male. Allora mi risiedo, ordino un amaro e cerco di
digerire.
Il mio professore di italiano è scappato via in pochi secondi
e, senza quasi che me ne accorgessi, è tornato ad essere per me quello che era stato
nell’ultimo decennio: uno sconosciuto. E penso che alla fine va bene così: chi
mi credo di essere?
Questo è l'errore più grave che commettiamo: credere di essere speciali.
RispondiEliminaMa purtroppo nessuno è insostituibile...
Sì!
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