martedì 11 dicembre 2012

La busta di latte



E’ uno di quei giorni in cui tutto va storto. Tenete presente quando capite di esservi alzati col piede sbagliato? Quando vi svegliate già stanchi perché avete sognato di scalare una montagna? Quando credete di centrare la tazza e invece vi state pisciando sui piedi?
Oggi è uno di quei giorni. Parte male e finisce peggio di solito.

Sono le 18 e 40, sto andando a lavoro, ho fatto tardi e devo ancora fare almeno 800 metri a piedi. Non sono pochi considerando che di solito sono già lì da 10 minuti. Inizio sempre alle 18e30.
Ad un certo punto mi sento chiamare da due donne che sono passate un attimo prima dinanzi a me proprio mentre mi dimenavo per il ritardo.
La voce che sento, è una voce debole, fioca. Talmente piccola che pare lontana. Addirittura per un attimo la ignoro credendo che cerchi attenzione altrove. Poi mi giro. Capisco che questa donna, e l’altra donna che sùbito riconosco come la figlia, ce l’hanno con me.
“Oh mio Dio” penso. E’ tardissimo. Qualsiasi cosa mi chiede le dico di no. Sicuro mi cerca soldi. Purtroppo non posso permettermi di dare i soldi a ogni semaforo e ad ogni incrocio. Tra l’altro io non verso per niente in ottime condizioni finanziarie e faccio pure un lavoro che non mi gratifica. Ho deciso: mi giro per educazione ma ho già un bel “no” secco in canna.
Rallento il passo e mi volto verso di loro, ma in quella posizione tipica che si assume quando si è pronti per riandare via: il piede destro già in ripartenza che mira dritto alla meta. Nel mio caso il posto dove lavoro.
“...Signore, posso chiederle una cosa?”. Mi giro. ...Ecco ora gli devo dire “no”. ...Niente.
“Mi dica”. Non ce l’ho fatta. Con questo “mi dica” mi ha già fregato. Ma è tardi. Davvero non posso perdere un altro secondo. E poi ho litigato praticamente con tutti oggi. Non voglio più nulla da questa giornata. Voglio solo andare a lavoro e poi metterci una pietra sopra. “Signore non voglio soldi…, una busta di la..”. “NO!!”. Ecco. Ce l’ho fatta. Me ne vado!
Mentre finisco di pronunciare quel “no”, e lo ripeto più volte ma sempre a volume più basso, comprendo e faccio attenzione anche al proseguo della frase: “..una busta di latte per mia figlia”.

Ecco, io lo so che chi chiede l'elemosina spesso ti racconta delle bugie. Sono anche bugie che, se vogliamo, possiamo considerare a fin di bene. Lo sappiamo, lo sanno tutti. Ma allora, se è così, non capisco perchè, mentre mi incammino, e mancano ormai solo 300 metri all'arrivo, non faccio altro che pensare a quello che mi ha appena chiesto quella donna. Non era poi così tanto per me. Alla fine potevo pure comprargliela sta benedetta busta di latte per la figlia…  Devo accelerare. Oddio che fiatone! Che ore sono? …Si, in realtà nella stragrande maggioranza dei casi è proprio così: chi ti chiede l'elemosina lo fa sempre per un motivo diverso da quello che ti racconta!Questa cosa mi fa vergognare di me stesso ogni volta che la penso ma è sicuramente così. Anche quella donna stava mentendo. Si. Non era di vitale importanza quella busta di latte. Ne sono sicuro. Si, si. Non mi pareva manco vestita malissimo ora che ci penso. Era solo una scusa affinchè io mi intenerissi e le dessi dei soldi. Magari anche di più di quello che può costare una busta di latte. 
Ma perchè proprio a me? Cioè voglio dire, su quel marciapiede c'erano tante persone che, almeno da come apparivano, potevano permettersi molta più beneficenza del sottoscritto. Deve avermi preso per uno ricco forse. Mhà, mi pare strano. ...Ahhh, eccooo:  mi ha semplicemente preso per uno che si intenerisce! E io non mi faccio intenerire! No! 
E’ stato sicuramente così. Chissà quanti soldi racimola ogni giorno. E io non ho abboccato. Meno male. 
Pochi metri. Ok, le 18 e 53; sono arrivato a lavoro. Ritardo record. E’ stata una serata tranquilla.  

giovedì 29 novembre 2012

Il ritorno di Maria



Ogni mattino litigare con te era divenuto un rito. Ma non che io scendessi di casa con quella idea. Anche se, in verità, non posso nemmeno giurare che non ci pensavo.  E' solo che ti ho sempre ritenuto una persona superficiale. Devo essere sincero.
Comunque non sapevo niente di te e nemmeno tu di me. Da quando mi porgesti la mano e ti presentasti: “piacere Maria”, abbiamo iniziato a litigare sempre con più confidenza.
Con te non poteva esistere alcun confronto costruttivo.
Non ho mai avuto nulla contro le persone di destra. Ci mancherebbe altro. Ma tu mi raccontavi sempre di una destra becera, di un berlusconismo ingiustificato manco fosse sceso Cristo dal cielo. Se c'è una cosa che non potevo accettare all'epoca era il berlusconismo ingiustificato, sì.
La questione politica, nella facoltà di lettere, era ed è uno degli argomenti cardine dalla prima alla ultima ora. Non solo per gli studenti. I professori spesso tendevano a manifestare, alquanto stupidamente ma allo stesso tempo fieramente, il loro marxismo. Una volta, durante una lezione di sociolinguistica, chiesi al professore che cavolo ci facesse un manifesto del partito comunista nell'aula multimediale. Lui mi rispose che ce l'aveva messo lui. E scherzando mi fece notare che, nel caso avessi avuto problemi, sarei potuto anche andare via. Aveva ragione Berlusconi: è tutto in mano ai comunisti.
Quindi fra una lezione e l'altra o nella pausa tutti fumavano. Noi invece litigavamo e fumavamo.
Al contrario di come accade ogni qual volta incontro Francesco, non divenivo impacciato e stupido nel parlare e argomentare con te, anzi. Mi incazzavo però; quasi dimenticavo che tu fossi una donna e mi rivolgevo a te in maniera tutt'altro che galante.
Non si parlava solo di politica eh! Maria mi raccontava spesso del suo ragazzo ideale e delle griffe che avrebbe dovuto portare per avere una qualche chance con lei. Ma tu guarda in che discorsi mi andavo a menare! Oggi avrei letto qualche pagina di un libro nella pausa, preso un caffè, che ne so avrei fatto una telefonata. Quanta stupidità tutta assieme. Tu scema dalla nascita ed io ancora più scemo che ti stavo pure ad ascoltare. La cosa bella era che tutti sapevano di noi. Una tiritera infinita ogni volta che stavamo vicini.

Quando ho saputo, qualche giorno fa, che avevi raccontato di me ad una amica in comune mi sono veramente sbalordito.
"Sai Simone...," mi ha detto quest'amica, "...ho trascorso del tempo con una persona che conosci abbastanza e mi ha parlato molto bene di te. Dice che sei un ragazzo sensibile e che ha un ricordo bellissimo di quegli anni passati all'università...".
Ho cercato veramente di farle capire che forse c'era un errore, che non ero io il Simone in questione. Invece no. Nessun errore. Il Simone in questione ero proprio io.
Sei ricomparsa prepotentemente nella mia vita proprio mentre io iniziavo a pensare finalmente ad altro; proprio mentre mi stavo abituando all'idea che Berlusconi se n'era andato per sempre e, con lui, anche quell'Italia insopportabile che tanto avevo detestato.
Devo ammettere però, cara Maria, che tu sei tornata in gran stile. Quello che hai raccontato sul mio conto è stata la conferma di quello che eri e di quello che sei rimasta.
...Parlare bene di me?! ...Come ti permetti?!

mercoledì 17 ottobre 2012

Le nostre paure sono sempre fondate



Pablo può testimoniare che questo sogno gliel’ho raccontato appena tre giorni fa.
Siamo in macchina, all'imbrunire. Tutti e quattro: Nicola, Antonio, Marco ed io. Gli Onirica al completo come erano al completo fino a nemmeno un paio di anni fa. Ci troviamo a Napoli, all’altezza credo di Salvator Rosa. Antonio guida, forse Nicola è davanti con lui; Marco ed io siamo seduti sui sedili posteriori.
Non credo comunque di ricordare precisamente questa cosa. Chiacchieriamo e, come sempre, con i nostri discorsi manifestiamo il nostro essere un po’ seri e un po’ cazzari.  
Ad un certo punto vedo una macchina virare contro di noi; accelera forte, sgomma e spara all’impazzata. Penso che è la fine e non riesco a capire come mai quei colpi, che vi giuro vedevo partire e venire verso di noi in nome di tutto il male del mondo, non ci abbiano già feriti o ammazzati.
Io Inizio quindi ad urlare: “stai giù, stai giù!”. Ovviamente non come fanno nei films ma nel più sguaiato dialetto napoletano. Urlo forte, più forte di quelle che sono le mie possibilità. Ve lo giuro, e Pablo può dirvi con quale faccia gli raccontavo della cosa, un grido di terrore che forse mai avevo dato nella mia vita, potente come solo un uomo che guarda in faccia la morte può dare.
Poi mi sono svegliato. Anzi, mi sono salvato.

Questo sogno (ma direi incubo) e la storia del ragazzo di Cardito ammazzato, al momento pare per errore in quello che doveva essere un agguato camorristico, sono due eventi che non serve tanta fantasia per vederli in qualche modo inscindibili l’uno dall’altro. In pochi giorni ho avuto il palesarsi, attraverso l'inconscio, di una mia paura e, leggendo i giornali,
la conferma della sua relativa legittimità.
Ne ho tratto così una teoria generale: le nostre paure sono sempre fondate.

sabato 13 ottobre 2012

Obbligo o verità?

Una sera siamo a casa di una mia cara amica, amica ancora oggi intendo, e stiamo giocando. Abbiamo quattordici anni, forse tredici, e tanta voglia di capire com'è fatto il mondo.
Ci si siede a cerchio e ognuno, a turno, sceglie liberamente "obbligo" o "verità".
Gli "obblighi" sono tipo delle penitenze (ma per cosa poi?): gli altri decidono cosa devi fare. E tu lo fai.
Scegliendo "verità", invece, sei costretto a rispondere ad una domanda che ti viene posta, dicendo appunto solo la verità.
La prima mezz'ora di gioco, è una fase di studio: gli obblighi sono veramente poca cosa. Zero emozione, zero adrenalina. Marco fa quindi dieci flessioni; Maria, che ha la zeppola in bocca, recita uno scioglilingua e ci fa scompisciare dalle risate. Ma è una farsa. Non stiamo di certo giocando per questo! Siamo seduti in quel cerchio per un unico motivo: abbiamo il naso che ci cola di ormoni. Piano piano arriveremo ai baci, ai baci con la lingua. Lo sappiamo tutti che poi va a finire così. Tutti vogliono arrivare a quello. Però è ancora presto. Allora si fa una pausa: Coca cola, patatine, pipì; poi si riprende. 

Qualcuno ha la brillante idea di dire: "facciamo un giro di solo verità!". Porca miseria! Non gioco più, me ne vado! Non voglio rispondere a nulla. Meglio baciare la più brutta della festa!
"Il giro di solo verità" serve per aizzare un po' il popolo. Può sembrare una proposta molto meno maliziosa dell'imposizione di un qualsiasi obbligo, soprattutto se si parla di baci alla francese. Ma non lo è. Dopo "il giro di solo verità" nulla sarà più come prima. Questa variante cattiva del gioco che, come tutte le cose cattive per davvero, pare meno cattiva di quanto è, riapre ferite rimarginate da tempo, esaspera speranze, rompe gli equilibri della comitiva e a me mette un'ansia esagerata. Certo, si può sempre mentire ma, mai come in quel caso, senti davvero che una bugia non la potresti reggere. Tutto quel cerchio di adolescenti in calore che ti guardano fisso mentre tu stai pensando solo a qual è il modo più conveniente di rispondere, è peggio di uno strizzacervelli. Questi maledetti ragazzacci leggono ogni piccolo dettaglio del tuo volto, interpretano meglio di chiunque altro il tuo linguaggio del corpo e sono pronti aimè a sputtanarti e a prenderti per il culo per ogni minima cosa che fai o che dici. Stronzi. Bisogna stare molto attenti, mantenere la calma. In questo momento vorrei già essere a casa.
Stiamo lì a "giocare" per ore ed ore e alla fine tutti baciano tutti. Che cosa grottesca!
Si baciano tutti tranne due persone: me e te.


Io sono sempre stato innamorato di te. Da quando ti ho vista la prima volta, il primo giorno di scuola, ho subito pensato, certo ingenuamente, credendo ancora in un amore sempre corrisposto, che fossi la ragazza della mia vita. Invece no. La scuola è finita prima ancora che ce ne rendessimo conto e tu ti sei allontanata dalla mia testa, per tornare solo in pochi momenti di malinconia, come si sono allontanate dalla mia testa quasi tutte le amicizie di quell'epoca. Non ti ho più vista. Mai più. Mai più prima di ieri. E, proprio ieri, mentre cercavo di capire se fossi davvero tu in quel treno che ci portava a casa entrambi, pensavo che quel gioco è veramente un gioco del cazzo, anche se all'epoca mi piaceva. Riflettevo poi sul fatto che ancora non mi facevo capace di una cosa: in quel groviglio di lingue, di parole, di mani, mai nessuno mi "obbligò" a baciarti: destino beffardo. La vita è strana, si capiva già da allora.

martedì 18 settembre 2012

L'oggetto magico
Aspettando l'I-Phone 5.

In un mondo occidentale che vive un così storico momento di crisi, nessun uomo dovrebbe aspettare l'uscita di I-Phone 5. In una esistenza infelice, questo oggetto, rappresenta però una speranza di felicità. 
Restare connessi ci dà la possibilità di contribuire alla costruzione della Storia del mondo e crea nelle persone l'illusione di non essere mai sole. Questo è il vero motivo del suo successo: la paura della solitudine.
Essere in connessione vuol dire anche condividere, confrontarsi, aprirsi totalmente alla mancanza di pudore. Un ritorno alle origini per la nostra specie che in principio viveva senza avere la necessità di coprirsi il corpo. 
Mostrare quello che è "il privato", cercare continuamente non più noi stessi ma la pubblicità che ci costruisce, ci distrae dall'idea di stare vivendo una vita inutile e ci avvicina in qualche modo allo Star System.

Quando ho spiegato a Pablo cosa fosse questo "oggetto magico" è rimasto sbalordito. Lui sa che esiste internet, il cellulare e nella fattispecie l'I-Phone, ma non immaginate la faccia che ha fatto quando gli ho elencato tutte le cose che si possono fare con questi aggeggi. 
Poi mi ha chiesto: "ma quanto costa?"
Ed io gli ho risposto: "sopra i cinquecento euro!".

Ha spalancato gli occhi; forse lo avrebbe voluto acquistare ma il prezzo lo ha spaventato e mi ha detto:"non lo compra nessuno!".
E' proprio qui che ti sbagli Pablo, lo comprano tutti.

lunedì 3 settembre 2012

La gaffe più grande del mondo



La gaffe più grande del mondo l’hai fatta tu che mi hai chiamato “Amore” mentre mi stavi lasciando.
Non so nemmeno se te ne sei accorta. Io ho finto di non capire quella parola pur sapendo che era una delle ultime volte che te l’avrei sentita pronunciare. Non so perché ma mi sono imbarazzato. Erano anni che non mi imbarazzavo davanti a te.  
Il momento più brutto della giornata è dopo pranzo. Ansia. Tremore. Consapevolezza che forse era meglio non mangiare, non alzarsi nemmeno dal letto. Poi le chiacchiere, gli oggetti, le canzoni che parlano solo d’amore. Non credevo che l’amore fosse così importante. Non sapevo che tu fossi così importante. Parole inutili: “per te ci sarò sempre”; “chiamami quando vuoi”; “non voglio farti del male”. Un colore: il nero.
Dal momento che mi hai confessato, determinata come sempre, la voglia di non far parte più della mia vita, ma proprio un attimo dopo, sembra assurdo, abbiamo iniziato a parlare come due sconosciuti. Ci siamo sentiti due persone diverse negli stessi vestiti che ci eravamo regalati nei Natali trascorsi insieme. Abbiamo rescisso un contratto, rotto un rituale: non posso più toccarti, non possiamo più fare rutti, dire cattive parole o camminare in mutande l’uno davanti all’altro, sarebbe maleducato. E noi siamo due persone perbene, lo siamo sempre state e, nonostante tutto, continueremo ad esserlo.