venerdì 27 maggio 2011

La ricetta di Pablo

Pablo non mi da l’impressione di essere una persona sola. Nonostante da tanti anni cucini solo per lui, non ha perso la voglia di mangiare di gusto. Ieri mi ha invitato a cena e mi ha fatto assaggiare un piatto molto saporito. Mi ha detto che è l’ideale per quando hai poche cose in casa e devi rimediare qualcosa in poco tempo; poi ha specificato che a lui piace molto e lo prepara spesso. “Tagli una cipolla a pezzettini, la fai soffriggere con carote e sedano e poi aggiungi mezzo dado; sul finire, una spruzzatina di vino bianco, un po’ di noce moscata e il piatto è servito”. “Cotto e mangiato”, gli ho detto, facendo la Parodi(a). Ma lui non sapeva di cosa parlavo. E pensare che io so di chi, invece, si masturba pensando alla bella Benedetta. Ha tenuto a specificare più volte che questa ricetta non è semplicissima da preparare; bisogna fare molta attenzione alla quantità degli elementi che la costituiscono. Troppa carota renderebbe tutto troppo dolce ad esempio. Se esageri con la noce moscata invece, il piatto assumerebbe un sapore troppo forte rischiando di renderlo non piacevole al palato. Per la buona riuscita di questa ricetta poi, tutto deve essere proporzionato alla quantità di cipolla che metti. La cipolla è l’elemento essenziale. Il dado è un particolare da non sottovalutare, ma poi attento al sale. Il dado è già salato di suo. La spruzzatina di vino rende il piatto più saporito. In pochi minuti, risolvi una serata improvvisata e buongustaia, come quella di stasera fra me e Pablo. Abbiamo chiacchierato mentre la pasta si cuoceva e lui era arzillo più che mai. Non è il classico anziano che attacca a parlare di guerra e non la finisce più, anzi, sono io che a volte gli chiedo di raccontarmi quegli anni, di quali fossero i loro discorsi, di quale era la loro prospettiva di vita. Lui ama filosofeggiare sulle cose semplici e sugli oggetti che lo circondano attraverso ragionamenti che, se solo ti applicassi un po' di più, non avrebbero alcun senso, ma che allo stesso tempo risultano sempre affascinanti.
Ci siamo seduti; la pasta ha davvero un bell’aspetto. Mi ha colpito in particolare il colore del piatto. Mentre mangiavamo mi ha accennato ad una sua particolare e, devo dire, abbastanza condivisibile teoria culinaria: ogni piatto è una metafora della vita. A suo modo l’equilibrio di ogni pietanza dipende esclusivamente dalle dosi dei rispettivi ingredienti utilizzati. Pablo porta rispetto ad un piatto di spaghetti al sugo, come porta rispetto alla Gioconda di Leonardo. Infatti, mi ha detto: "esistono vite salate, ben condite, scipide, aspre". Ho notato un po’ di amarezza nelle sue parole e suoi occhi mi raccontavano di chi già conosce il sapore del piatto che la sua vita ha generato; perché quando la cipolla è tanta ti serve più carota, di conseguenza più sedano, più dado, più vino; perché cucinare è un arte, e mangiare, ci rende ancora vivi.  

domenica 22 maggio 2011

L'economia del disordine

Sistemare i cassetti dove ci sono i vestiti, ti riserva sempre miriadi di sorprese, soprattutto quando non lo fai da diversi anni. Come per magia, dagli scompartimenti che stai svuotando, saltano fuori, solitamente, le seguenti categorie di cose: magliette che cerchi da mesi, costumi con i fiori, calzini dispari, mutande rosse e cinture discutibili. Talvolta, puoi trovarci anche oggetti che, in una casa perbene, non ci dovrebbero essere.
La cosa che a me risulta più difficile però, non è la mole di lavoro che sei costretto a fare: svuotare, dividere, organizzare e poi ancora piegare e ripiegare, ma quella di mettere via le cose che non utilizzo più da tempo. Vorrei conservarle tutte per ricordo. Ma qualcosa si dovrà pur buttare, altrimenti sarò costretto a uscire io dalla casa.
La questione “ricordi”, oggi, l’ho superata facilmente; mi sono avvicinato all' armadio e ho iniziato. C’era tanta roba che non metto più da anni in quei cassetti, come, appunto, quelle cinture discutibili di cui sopra. Ho svuotato tutto e appoggiato sul letto. Ho riempito due buste dividendo quello che avevo davanti in “cose da buttare” e “cose da donare” e, dopo una pausa, ho cominciato a risistemare iniziando a riporre all’interno del mobile quello che volevo tenere. Intimo nel primo cassetto; maglioni nel secondo; magliette a mezze maniche e qualche bermuda nel terzo;  tute, calzoncini, maglie da calcetto e abiti da sport, invece, li ho riposti nel quarto e ultimo scompartimento.
Mentre riempivo di nuovo i cassetti dei vestiti sopravvissuti all’eccidio, ho iniziato a rendermi conto che non sarei mai riuscito a infilarci dentro tutta quella roba in modo ordinato. Non era possibile! Erano meno pezzi ma occupavano più spazio. Come a dire che per combattere il traffico, un comune dovrebbe incentivare l’acquisto di automobili. Ma le auto non sono vestiti ed è anche per questo moriamo di cancro. In ogni caso, deve essere proprio in quel momento che ho capito che il disordine, a volte, almeno per quanto riguarda i vestiti, è più economico rispetto allo spazio occupato. In realtà lo definirei un disordine ordinato; nel senso, più brutto da vedere, ma fondamentalmente più efficiente. Con i cassetti in disordine, inoltre, i vestiti  non piegati si mescolano tra loro e, quando li indossi, sono già fatti l’uno per l’altro. La soluzione è stata che ho dovuto utilizzare anche parte di un altro armadio!
I ricchi, che si presuppone abbiano abiti adatti a ogni singola occasione e una quantità di vestiti di gran lunga superiore alla mia, sono costretti a scegliere quindi tra due filosofie di vita: la casa piena di armadi, o il disordine.
Io non ho invece alcuna possibilità di scelta: ho un solo armadio e non sono ricco.

mercoledì 18 maggio 2011

Miracolo a Milano

Dal film "Miracolo a Milano" di V. De Sica.
Miracolo a Milano, dunque! Ma anche miracolo a Napoli. Ho chiesto a Pablo se sentisse quest’aria di cambiamento, di “rivoluzione”. S’è fatto una grassa risata. Pablo non vota più da molti anni. Quando me l’ha detto, l’ho rimproverato. Lui mi ha spiegato che, dal mio punto di vista, faccio bene a rimproverarlo e mi ha fatto capire che ne ha le palle piene. A ottantacinque anni gli basta quello che ha. Un discorso fottutamente egoistico, ma che non fa una piega. Chiunque andasse al potere non gli toglierebbe il suo divano, i libri che ama, il piacere di mangiare. Ho la sensazione che le cose vadano proprio così: più giovane sei e più sei disposto a perdere quello che hai guadagnato, o che non hai guadagnato, ma che comunque hai; questo anche perché hai la consapevolezza di avere una vita avanti. Allora combatti, litighi, lotti. Fai lo sciopero, perdi il lavoro, se sei a scuola vieni bocciato. Invecchiando certe cose non te le puoi più permettere. Avremmo dovuto accorgercene  già dalla prime assemblee di istituto che le cose non sarebbero mai cambiate. Credo che più gli anni passino e più si maturino idee forse sempre meno comunicabili all’altro. Le parole divengono sempre più morte, incapaci di rappresentare concetti sempre più complessi. L’unico desiderio è preservare le poche persone e i pochi oggetti a cui teniamo. La famiglia diviene così la prima cosa che tentiamo di difendere dagli attacchi esterni e il primo cerchio all’interno del quale ci stringiamo. In casi estremi questo cerchio si restringe solo a noi stessi; e Pablo è solo, col suo divano, i suoi libri, e qualche volta ci sono io.

domenica 15 maggio 2011

1.0 Il motivo del nostro incontro

1.1 Pablo è vivo  
Pablo è un mio amico. L’ho rivisto dopo dieci anni e, sinceramente, avevo pensato più di una volta che non fosse più tra noi. Sono ormai più di cinque anni che ci incontriamo quasi ogni giorno. Non è che abbiamo tanto da dirci ogni sera, ma a volte ci incaponiamo in discussioni lunghe anche molte ore. E’ molto testardo, difficilmente cambia le sue posizioni ma è molto saggio. Per tutto questo tempo è stato per me una sorta di guru e, in verità, quando ho ascoltato i suoi consigli è difficile che io abbia sbagliato. Pablo ama i fagioli e compra il pane solo quando gli finisce. Pablo ha 85 anni. 


1.2 Il motivo del nostro incontro |15 marzo 2006| 
Ci pensi che miracolo sia incontrarsi..? Intendo dire, incontrarsi per la strada, su un pullman, allo stadio, a un concerto.  Due persone che hanno vite, vizi e storie diverse, in un momento della loro esistenza si ritrovano nello stesso posto a fare talvolta la medesima cosa. Le ragioni di un incontro sono da ricercare nella storia personale di ognuno di noi: capire perché il nostro percorso di vita ci ha portati, ad un certo punto, a trovarci lì, in quel luogo preciso, a quell’ora precisa. E’ questo che voglio fare: passare tutta la notte a capire qual è il motivo del nostro incontro.  Al mattino faccio colazione, mi lavo, mi vesto, cerco le chiavi, scendo le scale ed esco dal portone. Fra l’incastro dei miei tempi e fra quelli di un altro, nasce lo stesso incontro. Ma detta così, la cosa, risulta davvero riduttiva. Se non avessi avuto l’abitudine di fare la colazione, forse scenderei prima la mattina; stessa cosa vale per la buona abitudine di lavarmi. E che dire dell’orario? Quello, non l’ho quasi mai scelto io. Certo, potrei scendere in anticipo, ma non in ritardo! I miei orari, li hanno decisi dapprima i miei genitori (o chi per loro), poi le scuole, i vari istituti, le università che ho frequentato o i posti in cui ho lavorato. Stanotte voglio scavare nella storia recente e meno recente della mia vita per comprendere il vero motivo del nostro incontro. Nelle tue scelte e nelle mie, nella loro tempististica, che non è sempre una scelta ma è soprattutto una questione di attitudine, c’erano già i germi del nostro stesso incontro. Non è avvenuto per caso, anche se non avrei saputo come evitarlo. Non saprei come chiamarla, se coincidenza o destino. Se non avessi scelto quel tipo di scuola, se non avessi conosciuto le persone che me l’hanno consigliata, te ed io non ci saremmo incontrati, ne ora, ne la prima volta dieci anni fa e ne mai.
Ecco, bisognerebbe partire proprio da dieci anni fa. Stessa cosa vale per te.
Non so se ti starai facendo le stesse domande. Ma io vado avanti.
Quante cose abbiamo fatto prima di conoscerci? Quante ne abbiamo passate prima di rincontrarci? Se cambiassimo un solo movimento del nostro passato, tu non saresti ora a fare quello che stai facendo e io non starei qui a scrivere di questo ragionamento-matrioska che più vado avanti e più mi confonde. Mi ha fatto piacere rivederti e sono molto felice che in futuro probabilmente tornerai a far parte della mia vita. Ci sto provando a tornare indietro con la memoria e sto tentando di capire come possa essere accaduto che entrambi ci trovassimo lì proprio in quel momento. Tutto quello che ho fatto da quando sono nato fino ad oggi pomeriggio, riconduce in qualche modo a quest’incontro; Dio solo sa di quanto è stata dura la nostra vita fino ad oggi, quante cose abbiamo guadagnato con fatica, quale sentiero tortuoso abbiamo attraversato per arrivare fino al momento in cui ci siamo ritrovati in quel tratto di strada. Ho lavorato inconsapevolmente venticinque anni per far sì che accadesse e, pensandoci, dico: rifarei tutto. Ci siamo incontrati perché siamo nati! Era in programma la nostra nascita come lo era il nostro incontro. Potrei, quindi, andare indietro fino al momento del concepimento, o ancora peggio, attribuendo il motivo del nostro incontro all’incontro rispettivamente dei tuoi e dei miei genitori, ripercorrendo la loro storia d’amore e il “il loro tempo”, fatto anch’esso di scelte, rinunce, sofferenze. Addirittura le ragioni si potrebbero ricercare nella vita dei nostri nonni. Se non ci fosse stata la guerra, ad esempio, i miei nonni non si sarebbero conosciuti. Quindi, se l’Italia non avesse fatto la guerra, io non sarei nato e noi non ci saremmo incontrati. Più ragiono e più capisco che le variabili sono così tante e che è riduttivo proprio in partenza questo discorso. E’ un disegno troppo grande da comprendere, una matassa troppo lunga da sbrogliare. Una cosa è certa: da quando l’uomo è comparso sulla terra, tutto è stato allineato in modo tale da concederci questo incontro. L’intera Storia del mondo al nostro servizio. Spero davvero che anche tu stia facendo delle riflessioni, perché, quando si incontra una persona, non è mai per caso, quell’incontro lo abbiamo costruito, lo abbiamo faticato, ce lo siamo meritato.